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Comuna di Sedico

BREVE STORIA DI SEDICO

di Carla Conz  


Molti scrittori, lungo i secoli, hanno trattato della città di Belluno e del suo territorio (da Piloni a P. Valeriano, da L. Doglioni a G.B. Barpo ...) con abbon danza di notizie storiche, raccolte anche in poderose historie che vanno prese, però, con parecchia prudenza dato che tali notizie non sono sempre suffragate da verifiche.  

Tale prudenza è comprensibile, data la scarsità di documenti in nostro possesso, almeno per cio che ri guarda le epoche piú remote e, in particolare, per lo stato di abitazione della nostra zona in epoca preromana. Per dirla col canonico mons. Doglioni "... la origine della città di Belluno, involta nella oscura caliggine di secoli remotissimi, indarno affaticherebbesi a volerla rin tracciare". E anche se alcuni scrittori, in epoche posteriori, altre notizie hanno via via aggiunto rovistando negli archivi e portando alla luce qualche reperto, restano pur sempre lacune e punti interrogativi che hanno favorito, come sempre accade là, dove manca la certezza del documento, il fiorire della leggen da.  

Ecco allora l'origine dei nomi da improbabili o quanto meno problematici avvenimenti; il "sedeo hic" di uno stanco condottiero che avrebbe scelto il nostro paese per riposarsi (da cui Sedico) o il "cor dubium habeo" di colui (Cesare?) che, davanti al fiume in piena, era incerto se attraversarlo o meno (da cui Cordevole). 

Al di là di queste leggende, poetiche, se vogliamo, ma pur sempre e solo leggende, possiamo arguire che il territorio del nostro Comune, almeno entro i limiti che attualmente lo delimitano, non abbia praticamente una "storia" propria (almeno nel senso che comunemente si dà a questa parola, cioé una narrazione cronologica di fatti, di avvenimenti politici, di imprese di grandi personaggi, di mutamenti sociali, di vicende belliche) e ciò fino a quando, secondo la tesi più probabile, anche Belluno diventa Municipio romano, sotto Ottaviano Augusto o con Diocleziano viene inserita nella X regio, ascritta nella tribú Papiria. 

Da allora il nostro territorio segue strettamente le vicende storiche della città di Belluno e sappiamo per certo che tutta la zona fu romanizzata, come ci attestano i vari toponimi in "ano" (es. Bribano - terra di Barbius) o quelli in "igo" "ico" (es. Sedico - terre di Sedius). 

Se vogliamo, però, fare una distinzione fra i toponimi in "ico" "igo" da una parte e quelli in "ano" dall'altra, ci sembra di poter stabilire una differenza di colonizzazione: piu antica quella in "ico" "igo", esclusivamente romana quella in "ano". 

È interessante notare che tutti i toponimi di origine romana li troviamo nella parte pianeggiante del Comune, dove cioè le terre si potevano meglio coltivare, perche più fertili e perche più facilmente collegabili tra loro da vie di comuni cazione, 

Di derivazione romana pare anche il nome di Triva da "Trivium" che sta ad indicare l'incrocio delle tre seguenti vie: 

1) la prima presumibilmente che, provenendo dal guado di S. Felice, prose guiva verso Boscon, Carmegn, Sois, Mussoi collegandosi poi a Sedico; 

2) la seconda, via commerciale, che collegava Feltre a Belluno da cui prose guiva per Populetum (Polpet) dove si innestava nella Altinate Germanica; 

3) la terza infine che, dirigendosi verso nord, raggiungeva le odierne località di Gresal e Paludi, superava Roe e scavalcava il Cordevole (alle Tappole?) per inoltrarsi nella gola formata dai fiume. 

Che il ponte sorgesse alla Tappole è supposizione non certo fuori luogo, poichè sappiamo che nel corso dei secoli a noi piú vicini, in questa località venne ricostruito più volte un ponte che regolarmente le piene del Cordevole si portavano via. Ne parla lo storico Florio Miari nel suo "Dizionario storico artistico letterario bellunese" ricordando come il ponte stesso venne "riattato" nel 1382, un altro fu costruito nel 1569 e un altro infine nel 1600. Di quest'ulti mo abbiamo anche un superstite reperto che giace tuttora, seminterrato e ormai eroso dal tempo, sul greto del fiume: un enorme masso recante un'iscri zione latina che, tradotta, dice: "A Marco Antonio Carrario, ottimo pretore, perche con lo stendere un ponte in luogo opportuno provvide alla comodità del cammin - i duumviri preposti alla ricostruzione posero l'anno 1600 il 1º novembre". 

Ma anche questo ponte ha vita breve, una ennesima piena del Cordevole se lo porta via pochi giorni dopo.   

Questa abbondanza di vie di comunicazione, voluta ancora dai romani (si pensi alla Claudia Augusta Altinate costruita nel 15 a.C.) ci dice che la zona è certamente importante, perche mette in contatto la pianura (da Altino) con il nord (a Maia - odierna Merano), permettendo un rapido spostamento di uomi ni e di mezzi, soprattutto nei periodi di maggiore espansione dell'Impero ro mano, quando cioè, conquistati i territori, bisogna non solo difenderli ma provvedere, in caso di necessità, ad un costante e rapido approvvigionamento, sia di armi che di vettovaglie. La Claudia Augusta Altinate rispondeva senza dubbio a questi requisiti perche a) costruita, dove possibile, in cresta o comunque in quota; b) perche offre dovunque buona visibilità sul territorio circostante; c) perche infine permette la costruzione di torri di guardia da cui partono le segnalazioni ottiche visibili dalle altre torri.  

Dalla Claudia Augusta Altinate poi, via esclusivamente militare, si diparto no numerosi "diverticoli" o strade secondarie per il transito commerciale e per allacciare tra loro i poderi centuriati: la colonizzazione romana ha introdotto infatti; anche nel nostro territorio, il sistema della centuriazione, cioè della suddivisione agraria fra i coloni, in misura di 200 iugeri ogni 100 famiglie; questi appezzamenti sono collegati tra loro da una rete di comunicazioni, secondo una suddivisione rigidamente geometrica della spazio. "Tracce di tale centuriazione si possono forse rilevare nella parte pianeggiante del comune, tra Bribano, Sedico, Longano fino a Triva e Pasa, anche se non così evidenti come, ad esempio, nella Pianura Padana (Dal Mas, Sedico, indagine storica ...). 

Lungo la Claudia Augusta Altinate sorgono, via via, torri di guardia e fortili zi, non tutti di epoca romana ma anche più tarda quando, già caduto l'Impero Romano, i barbari che si succedono a ondate nel nostro territorio (goti, longo bardi ecc.), riconoscono l'importanza della via e ricostruiscono i fortilizi o ne aggiungono di nuovi. Ne sorgono anche nel nostro territorio, più che altro torri di guardia nei posti più elevati (Triva, Landris) o castelli, come quelli di Mirabello e Landredo che sono però poco piú che fortilizi, costruiti in muratu ra e legno, con alloggio per Ia famiglia del signore e quello per i soldati. 

. Il castello di Mirabello e edificato dai Goti (Bonifacio "Historia Trevigiana") sorge sul colle dei Mirabei, cioé in posizione elevata, ma è probabilmente piú un fortilizio che un vero castello, costruito certamente in pietra e legno come tutti a quell'epoca. Lo citano, assieme a quello di Landredo, sia il Piloni che il Bonifacio nelle loro storie, per ricordarci che questi due castelli sono stati teatro di imprese guerresche all'epoca delle controversie tra Belluno e Treviso. 

Queste scoppiano quando i figli di Guecello da Camino, proprietario dei castelli, alla morte del padre, li vendono ai trevigiani, suscitando le ire dei bellunesi che li accusano di non aver rispettato i patti, secondo i qual i a loro sarebbe spettata la precedenza nell'acquisto. 

Riuscito vano ogni tentativo di comporre amichevolmente la controversia, lo stesso vescovo Gerardo De Taccoli, indossata l'armatura, si mette alla testa dei soldati e "... il sesto giorno del mese di aprile dell'anno seguente (1196), dopo l'haversi sentito un pezzo alla longa battere il campanone uscì dalla cittade la milizia bellunese et accompagnatisi con feltrini, sotto la condotta del vescovo Gerardo che volle personalmente intervenire et pigliò il carico di Generale... Passarno con impeto grande sotto il Castel del Mirabello et dateli ferocissimi assalti lo presero et espugnarono l'ottavo giorno dopo che fu cominciato a battagliare et postoli il fuoco lo distrussero con tutti gli edifici che erano attorno, crudelmente amazzando quanti furono in esso ritrovati. Indi, scorren do et sacheggiando andorno sotto il Castello di Landredo et con mortalità d'ambo le parte lo presero e lo gettorno a terra, conducendo prigioni quaranta soldati "tra cavalieri, pedoni et sagittarij..." (Piloni, Historia della città... pag. 176).  

Queste lotte per il possesso dei castelli si potraggono fino al secolo XVº, quando il territorio della provincia di Belluno entra a far parte del dominio veneto. Cadono perciò tutti i motivi di natura militare e strategica per cui questi fortilizi erano sorti: non serve piu la difesa anche perchè Venezia, per paura di sommosse, fa abbattere quasi tutti i castelli rimasti (1422). D'altra parte, con la scoperta delle armi da fuoco, muterà completamente la strategia della guerra, per cui anche i pochi castelli rimasti cadono lentamente in rovina. 

Sarebbe interessante, a nostro parere, fare qualche scavo nella zona dei Mirabei, nella parte alta del colle, dove sorge un gruppo di alberi che, disposti in modo pressochè circolare, sembrano quasi indicare l'esistenza della base di una torre. Anche se presumiano che, data la natura di tali costruzioni preva lentemente in legno e sassi, non debba essere rimasto molto; tuttavia visto che nel territorio non esiste certo abbondanza di reperti, forse varrebbe la pena di tentare. 

Tutto il Medioevo è caratterizzato da un susseguirsi di lotte e controversie, in un alternarsi al potere di Guelfi e Ghibellini, alternarsi che durerà fino al dominio di Venezia, cui Belluno si darà "spontaneamente" nel 1404 (dato che non riesce a mantenere la propria indipendenza).   

Anche l'istruzione, per lo meno quella - del popolo - non naviga in buone acque sia durante tutto il Medioevo che nei secoli seguenti. La condizione del maestro, a quell'epoca, è quella di un sottoccupato che spesso si deve rivolgere al Comune per chiedere aiuto economico trovandosi, come dichiara uno di essi in una supplica ".. in non poca miseria et calamità ...". Ne abbiamo conferma scorrendo le delibere del Consiglio Comunale del secolo scorso dove, appunto, ricorre spesso la voce - sussidio - per l'insegnante tale o tal altro che ne fa dignitosa - richiesta.  

La scuola infatti è legata (e lo resterà fino all'Ottoceno, dopo la Rivoluzione Francese) alle decisioni del Comune, all'interesse che esso (nella persona dei suoi amministratori) nutre per l'istruzione, alle disponibilità dell'erario e, non ultimo naturalmente, alla personalità ed alla professionalità dell'insegnante. Insegnante che deve provvedere anche alI'aula per gli scolari e, ove non dispon ga di una stanza nella sua abitazione, deve trovarsene una e pagarsi l'affitto. Se poi la sua capacità di educatore e il suo impegno siano effettivamente all'altez za dell'incarico affidatogli, questo non sembra preoccupare eccessivamente gli amministratori.  

La scuola, del resto, deve mirare soprattutto alla preparazione professionale di una categoria che, nata contadina o tutt'al più artigiana, tale rimarrà probabilmente per tutta la vita. Ciò che maggiormente le occorre quindi è, appunto, imparare l'arte del produrre. E per questo l'insegnante viene assun to "... Acciò con il suo ammaestramento possi istruire li suoi scolari nella loro professione a beneficio di questa magnifica comunità".  

- "La scuola d'abaco, di leggere e scrivere" come viene intesa intorno al 1600 ha quindi una finalità ben precisa, ancora lontana da quei criteri di giustizia, di elevazione culturale e sociale che informeranno la scuola elementare dopo il 1800.  

Scuola povera, quindi, scuola del popolo, in contrapposizione alla scuola di grammatica o ginnasio cui sono destinati i figli degli aristocratici e coloro che sono avviati alla carriera ecclesiastica e nelle quali insegnano precettori quali ficati, spesso provenienti anche da altre città del Veneto.   

Anche i paesi limitrofi alla città, come Sedico, avranno risentito di questi mutamenti politici, sociali, ma soprattutto economici. Con l'avvento della Dominante si prospetta per Belluno e il suo territorio un lungo periodo di tranquillità, nonostante le immancabili controversie politiche e le lotte fra i nobili e i popolari: il lavoro dei campi può svolgersi liberamente, vengono sfruttate le risorse minerarie che permettono lo sviluppo di numerose fucine dove vengono fabbricate spade pregiate, esportate poi "per Franza, Messina, Fiandra e Alemagna" (Migliorini, La Val BelIuna, pag. 25). Tuttavia, se Vene zia riesce ad assicurare un lungo periodo di pace, bisogna pur dire che sul piano economico essa si serve delle uniche ricchezze della provincia (il legname e i minerali) per la costruzione di remi e per manufatti in ferro; sul piano politico non sa e non vuole promuovere piani di sviluppo, privilegiando quasi sempre i nobili, ai quali concede poteri e privilegi. Stranamente però, sia popolari che abitanti della campagna, parteggiano spesso per Venezia anche se proprio "la campagna aveva dovuto subire le conseguenze più gravi di un sistema basato sul privilegio aristocratico tutelato dalla Dominante" (Vendramini, Tensioni politiche ..., p. 36).  

In queste controversie viene coinvolta anche la Pieve di Sedico che il 4 ottobre 1495 si riunisce con i Regolieri (1) di Bribano, Cason, Liban e Bolago per discutere dei rinnovo dell'estimo, che scarica ingiustamente le maggiori quote di spesa pubblica sul contado; quando ad esempio i contadini non riescono a pagare le colte (2) possono essere loro confiscati i beni che vengono poi venduti all'asta. (Archivio Notarile Belluno - Sebastiano Batti...).  

La città, dei resto, ha quasi sempre una posizione di privilegio sulla campa gna, cui spettano gli oneri e obblighi maggiori, cioè le angherie (2): obbligo di provvedere ai prodotti agricoli necessari alla città, obbligo di recarsi al mercato nei giorni stabiliti, in numero stabilito e con prodotti che siano almeno dei valore di soldi cinque. Troviamo nel "repertorio" di G. Doglioni questa notizia: nel 1422 il territorio dei Piano (3) doveva mandare in città per il mercato 141 persone così suddivise: 31 di Castion, 10 di Limana, 10 di San Felice, 11 di Sedico, 12 di Pedemonte, 12 dell'Oltrardo, 15 di Frusseda, 12 di Mier e 28 dell'Alpago.  

Angherie, colte, livelli (2), vere e proprie "gravezze" fiscali tendono a rendere sempre più precaria la situazione dei contadini che, solo ricorrendo ai prestiti in denaro o in scorte, possono in qualche modo procrastinare la loro fine. Questo sistema di prestiti accelera "il concentramento dei terreni nelle mani dei creditori più forti, attraverso l'assorbimento dei beni dei debitori" (4) (Gior getti, Contadini e proprietari nell'ltalia moderna).  

Il 24 ottobre 1496 il notaio Giovanni Tison vede comparire dinanzi a se il nobile Valerio Doglioni (che perora la causa dei "poveri uomini" della Pieve di Sedico) e Francesco Buzzatti, Tiziano Cason e Michele Gir per definire la questione sulle angherie che, sostengono i "poveri uomini", devono essere pa gate in base all`estimo e non quote uguali per tutti.  

Altra "gravezza" è il livello cui sempre piu spesso i contadini devono ricorrere per tentare di sdebitarsi col padrone, aggravando al contrario la situazione. E se ne ha notizia scorrendo l'Archivio Notarile di Belluno, ricco di episodi in proposito. Così veniamo a sapere che un certo Bortolo Benvenuti e la moglie Bona da Sedico sono costretti a "livellare" una casa (forse la stessa in cui abitano) e una stalla per 151 lire e 1 soldo che devono al nobile Crepadoni per altri livelli non pagati (Vendramini, La mezzadria bellunese). E il debito au menta. I contadini, così indebitati, si vedono portar via le terre che passano alle famiglie benestanti o nobili. Questo fenomeno si acuisce soprattutto nei perio di di carestie, di epidemie, che aggravano la situazione di per se già critica. Se già in annate normali un raccolto non basta che per 4 mesi, si possono immagi nare gli effetti di tali calamità, sia sull'andamento economico che in quello demografico. Nella prima metà del '500, come dice il Piloni "... era in quest'an no (1526-27) in Cividale gran carestia et penuria de biade, onde fu dal Comune deliberato che, per tre continui mesi, fossero, col denaro pubblico alimentati 500 poveri bisognosi della Città, acciò non morissero di fame".  

Dopo la carestia e la peste viene anche, a completare l'opera, il tifo petec chiale e i morti salgono, sempre stando al Piloni, a circa un migliaio. 

Come si può facilmente desumere dalla lettura di questi documenti, dalla consultazione di anagrafi dell'epoca, ma soprattutto dalle varie relazioni al Senato della Repubblica Veneta le condizioni del contado Bellunese, dal secolo XVI al XVIII, non sono certo floride. La povertà del terreno, poco adatto alla coltivazione, il suo eccessivo frazionamento, il clima non certo mite, la scarsità di terreni pianeggianti, ma soprattutto la mancanza di mezzi dei proprietari per incentivare le coltivazioni fanno si che la miseria assuma caratteri endemi ci. Nemmeno l'introduzione del mais, agl'inizi del '600, riesce a risollevare le sorti dell'agricoltura bellunese, nonostante le entusiastiche parole del canoni co G.B. Barpo (Descrittione della Cividal...) che vede nel mais "il thesoro del nostro paese, ricchezza della nostra borsa e vero alimento dei nostri bifolchi ..." e ancora "la vena dell'oro a' ricchi, il sostentamento a' poveri, la gagliardia a' pigri" e per finire "la bellezza a' brutti e l'allegria a' mesti". Purtroppo la realtà è ben diversa, considerando che la polenta, costituendo la base dell'alimenta zione dei contadini, integrata da pochi altri cibi, favorisce la diffusione della pellagra che si manifesta in tutto il territorio anche oltre la metà del 1700.  

Anche la popolazione subisce un calo demografico e, pur se ci sono anni di qualche ripresa, la popolazione della provincia non aumento mai in modo considerevole (tenuto conto anche delle ricorrenti carestie che si manifestano per quasi tutto Il 1500) stabilizzandosi su una media di circa 24.000 abitanti.  

E in questo secolo, ma soprattutto nel '600, che si delinea il fenomeno della "villa" come casa di campagna per i mesi estivi, che nobili e possidenti vanno via via costruendosi sulle terre di cui sono proprietari. Si va "in villa" per i mesi estivi non solo per la villeggiatura, ma per badare al lavoro dei campi, al raccolto, il cui profitto, però, non è impiegato molto spesso per migliorare le condizioni dei contadini o della campagna, ma per abbellire le dimore che diventano così il simbolo del rango sociale dei loro proprietari.  

Una di queste ville, di proprietà della famiglia Miari, esiste tuttora a Cugna ch e faceva parte della vaste tenute che la famiglia possedeva a Boscon, a Carmegn e in varie altre località della pieve di Sedico; terre, in buona parte, "acquistate" dai contadini che con la vendita riuscirono a liberarsi dei debiti e dei livelli.  

E probabilmente per far fronte a spese straordinarie i regolieri di Sedico cedono l'uso, nel 1543, di quattro iugeri di pascolo alla famiglia Miari togliendo così la possibilità ai regolieri stessi di far pascolare gli animali nelle terre comuni.  

Altri proprietari costruiscono nel nostro territorio belle dimore che ancora oggi testimoniano Del loro passato e la cui storia, vista a ritroso nel tempo, ci parla delle nobili famiglie che le hanno costruite: i Miari, ad opera dei quali sorgono, a Landris, le due ville ora Bentivoglio e Giacomini e dei quali un discendente, Antonio Miari, vissuto fra le fine del 1700 e l'inizio del 1800 fu buon musicista, apprezzato autore di brani di musica da camera e pezzi sacri; i Rudio, sempre a Landris, dei quali due discendenti diventano pievani di Sedi co; i Crotta (ora Segato) a Poian, originari della Lombardia da dove giungono nel XVI secolo per darsi all'attività di mercanti prima, e proprietari delle miniere di Agordo poi, dove costruiscono la loro splendida residenza (ora palazzo De Manzoni) che "rappresenta una delle più impegnate testimonianze della cultura veneta della zona" (Adriano Alpago Novello, Ville della provin cia di Belluno). E ancora, la famiglia Zuppani a Pasa che giunge in questa località all'inizio del 1500; uno dei suoi membri è pievano di Sedico nel 1585 e un altro, Luigi, diviene Vescovo di Belluno nella prima metà del 1800.  

Un cenno infine alla famiglia Barpi, proprietaria di vaste tenute nella zona di Peron, dove stabilisce anche una residenza estiva e il cui nome troviamo citato fra le famiglie popolari più facoltose della Cividal di Belluno. I Barpi si battono per entrare a far parte del Consiglio Maggiore della Città, riuscendovi infine (1568) e ottenendo pure di essere creati nobili. 

Vorremmo solo ricordare uno dei suoi membri, il canonico G.B. Barpo che, vissuto nel 1600, ci ha lasciato una "Descrizione di Cividal di Belluno e suo territorio" "Le delizie dei frutti dell'agricoltura e della villa" due opere ricche di notizie, precetti, informazioni su usi e costumi dell'epoca.  

Tutte le comunità rurali del territorio bellunese sono tenute ad osservare "le regole", veri e propri statuti attinenti alla vita agricola (allevamento del bestia me, taglio della legna, ecc.) ma che davano, inoltre, un elenco di norme per la vita comunitaria e religiosa. Cosi ogni comunità ha, da tempi remoti, la propria Regola, con a capo un "marigo" che è tenuto ad accettare l'incarico e a far rispettare le regole.  

Anche i paesi della Pieve di Sedico hanno naturalmente la loro Regola; interessanti quelle di Liban, Barp, Bolago (1590) e quella di Longan dei 1597. Nella - Regola - di Liban leggiamo ad esempio: "che non sia alcuno che ardisca nè debba lavorar per le campagne nè in casa le feste comandate o feste di giorni de quali ha vodo la Régola, nè manco far lavorar... li zorni nel quale zorno vien San Michiel... per osservanza del vodo antiquo de detta Regola".  

Le carte di Regola sono documenti importanti perche ci permettono sì, di conoscere aspetti fondamentali della vita di queste comunità (il modo di gesti re il bene comune, la disciplina cui ogni villico si deve adeguare per una miglio re distribuzione delle risorse a disposizione), ma anche perche contengono norme e disposizioni per la vita sociale e religiosa. 

Altre Regole destinano parte dei "banni" (multe) al mantenimento della chiesa, altre ancora si fanno carico dell'illuminazione o di opere di riparazione, oppure stipulano contratti con i parroci per la celebrazione di funzioni, soprat tutto di riti funebri.   

E abbastanza significativo e indicativo di una certa epoca e mentalità che alcune norme di vita siano imposte non solo dalla Regola, ma anche dai con tratti che i proprietari stipulano coi loro coloni. Ne è un esempio un contratto stipulato il 7 marzo 1586 dal notaio Eustacchio Colle, fra madonna Drusiana Sammartino e Vendramin fu Colò De Venz, per la cessione a mezzadria di alcuni terreni a Libano, Barp e Bolago. Uno dei paragrafi del contratto in questione dice; "che siano (i coloni) obedienti, humili, fedeli, reali et sopra ogni altra cosa timorosi de Dio".; ma subito dopo si fa premura di precisare: "... et nelle occorrenze della Patrona siano pronti ad obbedirla, così lei, come ogni uno di casa sua et suoi agenti et far tutto quello gli saran comandato, sì per beneficio della possessio ne come anco per interesse proprio della Patrona et bisogno suo".  

Insomma, timore di Dio e... timor della padrona. Del resto la vita della comunità è sempre stata regolata da un insieme di norme sociali e religiose: la Pieve è complementare alla Regola e viceversa.   

Aspetti particolarmente interessanti sulla nostra Pieve ci sono forniti da Ferdinando Tamis (Archivio Storico di Belluno) in un lungo elenco che va dal 1184 al 1919, in cui sono elencati "I pievani di Sedico", con molte notizie sull'organizzazione della Pieve nei primi tempi della sua istituzione. Oltre a notizie sull'organizzazione strettamente ecclesiastica, il Tamis ci dà un esau riente elenco di usanze e consuetudini, via via mantenutesi nel tempo ed entrate quindi nella tradizione popolare, anche se, purtroppo, in questi ultimi tempi talune di esse sono state abbandonate.  

Cosi ogni domenica e festa di precetto viene cantato il vespero, all'Epifania si benedice l'acqua, la quarta domenica di Quaresima il pane, il giorno di Pasqua l'agnello e le uova. Inoltre "tutti li venerdi di maggio si celebra la Messa nella Chiesa di S. Pietro in Corona, et tutta la Pieve in tal giorno è obbligata a far festa ..." e ancora "il giorno di S. Rocco si fa la processione intorno alla Chiesa Parrocchiale, oppure si fanno preghiere speciali per chiedere la pioggia o il buon tempo." 

Grande è l'importanza di queste feste, non soltanto sul piano strettamente religioso, ma anche su quello sociale, considerando la mancanza totale di altre occasioni di incontro, di diversivo, in una lunga teoria di giornate dedicate, si può dire, esclusivamente al lavoro. 

Così, nella pratica religiosa, testimone di una fede semplice ma sincera, si soddisfano ad un tempo bisogni dello spirito e del corpo. A parte qualche episodio di - insofferenza - dei regolieri che si rifiutano talvolta di pagare le primizie al sacerdote perche non celebra con regolarità le Messe stabilite nelle frazioni, i pievani sembrano soddisfatti del loro ministero se uno di essi può dichiarare che "li mei parochiani sono stabili nella santa fede et non so chel sia alcun heretico ne che habbi libri prohibiti, ne che attenda a arte magica ne a strigamenti". 

Scorrendo l'articolo inoltre, osserviamo che nelle frazioni molte sono le Mes se che la Regola per obbligo di voto, faceva celebrare in onore dei Santi patroni. Ci sono, da parte dei membri dell'Accademia degli Anistamici (5), proposte di innovazioni, nel campo dell'agricoltura, per tentare nuove tecniche, per pro porre alcune riforme per un miglior riassetto della distribuzione del terreno. Ma, forse per una non esatta valutazione delle difficoltà ambientali e politiche o perchè tali proposte sono ancora premature, esse non trovano applicazione nella realtà.  

Ci sono, oltre all'agricoltura, altre attività come quella della tessitura, della lavorazione e del commercio dellegname o dell'estrazione delle pietre molari, ma sono attività marginali, che non assorbono molta manodopera e che lungo tre secoli, dal XVI al XVIII, sono svolte soprattutto a beneficio di Venezia. Ed anche piu oltre, dando uno sguardo alle anagrafi della Serenissima, notiamo come fra le "persone industriose" manchino completamente quelle che si dedicano a determinate professioni.          Ce lo prova, ad esempio, l'anagrafe del 1766, dello Stato della Serenissima Repubblica Veneta. 

Osserviamo quindi che la quasi totalità dei lavoratori è occupata nell'agri coltura, restando minima la percentuale di artigiani o dediti ad altre professio ni. Così, dal 1500 al 1700, si assiste ad un progressivo allargarsi delle proprietà in mano ai nobili, anche veneziani, o a cittadini arricchiti; proprietà che si allargano ulteriormente, quando Venezia decide di alienare buona parte dei beni comunali per pagare le enormi spese sostenute nella guerra di Candia. E a nulla valgono le proteste degli abitanti del distretto anche se, nel 1766, i comu ni di Sedico, Mier e Pedemonte tentano di opporsi alla vendita delle vaste tenute della Certosa di San Marco di Vedana: scorporati pochi campi, il resto viene acquistato in blocco da un patrizio veneto, il cavalier Nicolò Erizzo.   

Ci sono vari tentativi, fin dal XVI secolo, di opporsi alla alienazione dei beni, ma i distrettuali non dispongono certo della forza necessaria per continuare una lotta impari e perduta in partenza.  

A questa situazione, non nuova del resto, per popolazioni che da sempre hanno subito soprusi e imposizioni da parte del potere, si tenta talvolta di reagire, come accade nel marzo del 1800 quando i contadini del bellunese organizzano una rivolta contro i nobili e gli austriaci che governano la città. La rivolta, cui partecipano anche cittadini di Sedico, fra cui Domenico, figlio di Valentin Pat e Antonio Ferigo, deputato della Pieve di Sedico, anche se non ha esito fortunato e finisce con l'incarcerazione dei suoi capi, dimostra almeno l'unità di intenti dei rivoltosi che trovano il coraggio, per la prima volta, di opporsi alla classe dirigente. Le loro coscienze forse, erano state scosse dai proclami di eguaglianza, che parlavano di diritti e di sovranità del popolo, emanati durante la precedente occupazione francese. Certo il trattato di Cam poformio del 1797 e la conseguente cessione del Veneto all'Austria erano stati un duro colpo per i veneti che forse si erano illusi di poter trovare in Napoleone il sostenitore di quell'uguaglianza, quella fraternità, quella libertà che erano diventate il motto della Rivoluzione Francese. Delusi quindi dai francesi pri ma, dagli austriaci poi, oppressi dalla carestia di annate particolarmente in fauste, con lo spettro della fame sempre presente, le classi meno abbienti si vedono inoltre colpite da nuove tasse sul sale, sul tabacco, sul bestiame. Indif ferenti forse alle vicende politiche che vedono il Veneto entrare, nel 1805, a far parte del Regno d'Italia e la Província di Belluno diventare, nel 1806, Diparti mento della Piave.  

A capo del Dipartimento c'è un Prefetto che governa in nome del Vícerè Eugenio di Beauharnais, poco o nulla preoccupato di rispettare le autonomie locali. Del resto l'ideale napoleonico era lo Stato di Polizia; tutto era soggetto a controllo, tutto da esso doveva dipendere anche nelle questioni meno impor tanti. Rovistando tra le carte dell'Archivio Comunale ne è uscito un documento datato 26 maggio 1813 in cui il Prefetto Imperiale "accorda il premesso" di affittare un locale per la scuola, dopo di avergli sottoposto le condizioni di affitto e la spesa per le riparazioni, in cui, inoltre, "autorizza" a convocare il Consiglio Comunale per fissare gli stipendi, "autorizza" a bandire il concorso, a nominare i maestri, i cui nominativi però dovranno avere la sua approvazione "per quelle eccezioni che potessero emergere sul conto loro". 

Fu introdotto il Codice Francesa, sia penale che civile, l'uniformità dei pesi e misure e della moneta, si eseguirono lavori pubblici, ma fu istituita anche la coscrizione obbligatoria, certamente non malto popolare.   

Intanto si va delineando quello che sarà, nel suo assetto territoriale e ammi nistrativo, il Comune di Sedico con "l'aggregazione" delle Comuni di Libano e Gron, come è riportato in una delibera dei Consiglio Comunale. di Sedico (ottobre 1811) il quale si fa carico anche delle "attività" e "passività" delle due Comuni, "rinunciando adesso e per sempre di formare conti particolari e sepa rati ma di compilare ogni anno un solo conto generale".  

Con il ritorno degli austriaci la Provincia fu soggetta, naturalmente, all'Am ministrazione austriaca, molto rigida, se si vuole, ma rapida ed efficiente; purtroppo altrettanto efficiente nel non concedere libertà politiche. E furono indubbiamente l'ostinato conservatorismo e assolutismo dell'Austria che die dero luogo al crescere del desiderio di libertà e alla formazione dei primi nuclei di patrioti liberali dai quali prese il via il fermento dell'agitazione nazionale. Furono gli anni del Risorgimento, al quale anche Belluno diede il suo contribu to con l'insurrezione del Cadore, guidata da Pier Fortunato Calvi. Tuttavia questi fermenti interessarono soprattutto certi ceti sociali: intellettuali, stu denti, borghesi, una minoranza insomma che coltivava ideali di indipendenza e di unità. La maggioranza della popolazione, forse per desiderio di pace dopo la turbinosa epoca napoleonica, per stanchezza, per la grave carestia che im perverso fino al 1817 con conseguenze che si ripercossero per anni sull'econo mia della provincia, per la scarsa diffusione della cultura, non si oppose alla Restaurazione. Anche perchè l'Austria provvedeva per i suoi sudditi al minimo benessere quotidiano, cui essi davano grande importanza. Insomma si voleva vivere in pace e non abbiamo, di quel periodo, memorie o documenti, che comprovino aperte ribellioni o diffusi malcontenti.  

In sostanza l'Amministrazione austriaca non fu molto diversa da quella napoleonica, se non per le leggi comunali, e nel suo complesso il Governo Austriaco ebbe, dal punto di vista legislativo e amministrativo, un carattere abbastanza moderno, specie se paragonato ad altri Stati italiani di quel perio do, come ad esempio il Piemonte. Ma la segretezza di cui circondò i bilanci (che non vennero mai resi noti), lo sfruttamento dal punto di vista fiscale, la man canza di una effettiva autonomia amministrativa, la presenza di soldati reclu tati nelle province transalpine, facevano sentire pesantemente la mano del dominio straniero.  

Nascono in questo periodo dei fogli e settimanali che, con indirizzi diversi, tengono informata la popolazione sugli avvenimenti più importanti della Pro vincia: cronaca quindi, ma anche e soprattutto letteratura, storia, poesia, scienza, poche le notizie di carattere politico.  

Alcuni di questi settimanali ebbero vita breve, altri uscirono per anni: da "L'eco delle Alpi" che iniziò la pubblicazione nel 1838, a "L'alpigiano" che uscì per tredici anni dal 1884 al 1897, a "L'Antologia veneta" che si occupava di letteratura e arte e ancora "La Provincia di Belluno" per problemi amministra tivi, "L'agricoltura e il commercio della Provincia di Belluno", "L'Avvenire" che esce nel 1901, "L'Amico del Popolo" dal 1909 ed altri ancora; un fiorire di periodici insomma che trattano i più svariati argomenti, in considerazione anche del fatto che il giornale e l'unico informatore, per buona parte dei lettori, sugli aspetti della vita pubblica, sia culturali che sociali, sia religiosi che econo mici.   

In tal modo, tolta la parentesi del '48, Belluno visse fino al '66 quando fu annessa al Piemonte e ne dipese anche amministrativamente. L'avvenimento e ricordato da uno storico locale, Antonio Maresio Bazolle, nei suoi "Annali di Belluno" dei 1866 dove annota in data: 13 Luglio - Venerdí "... il Municipio di Belluno pubblicò in data d'oggi un proclama avvertendo che l'Autorità Politiche cessero gli Uffici al Municipio e che si allontanano ritirando le I.R. truppe di Guarnigione. L'avviso raccoman da quiete ... quiete perfetta in Città e come nulla fosse avvenuto"; 19 Luglio – Giovedì "... noi qui siamo in una posizione straordinaria. A Feltre vi è l'I.R. Armata Austriaca, a Conegliano R. Truppa Italiana, a Capodiponte vi sono i Garibaldini dei Cadore e qui non c'e truppa di alcuna sorta"; 25 Luglio - Mercoledi "... il Podestà con gli Assessori Municipali ... fece leggere dal Segretario il Decreto di Sua Maestà Vittorio Emanuele Re D'Italia datato da Ferrara lì 18 luglio corrente con cui egli prende possesso dei Lombar do Veneto austriaco ... "; 15 Agosto - Mercoledì "... durante l'ingresso delle Regie Truppe suonarono a festa la Campana del Comune e le Campane di tutte le Chiese. Fu male che l'atmosfera non favoreggiasse tale ingresso perchè appunto quando esso era per incominciare venne una pioviggina finissima che ando progressivamente crescendo...".  

Comunque la "pioviggina'' non impedi un pranzo di quaranta coperti al Cappello, con banda e balli all'aperto e ritrovo al caffè Nazionale dove le signore, quasi tutte vestite di bianco, (cosi annota lo scrupoloso cronista) entrarono, le più fortunate almeno, a braccio di un Regio Ufficiale.  

19 Agosto - Domenica "... fino di buon mattinoCittà imbandierata perchè si attende oggi il Commissario Zanardelli.  

... alle ore 6 e 25 minuti la Campana del Comune diede il segnale dell'ingres so in città del Commissario Regio e subito suonarono a distesa tutte le Campa ne delle Chiese del Città". 

L'annessione del Veneto al Regno d'Italia, se da un lato ha risolto il proble ma dell'Unità, lascia aperti problemi economici e sociali; soprattutto una non celata insoddisfazione fra le classi popolari per la propria condizione che dal l'unificazione non ha tratto certo miglioramento. 

Nel 1869, ad appesantire la situazione e ad accrescere il diffuso malessere tra le classi più povere (cioè la maggioranza) è approvata la tassa sul macinato o, come viene chiamata, "della fame". Pane, pasta e polenta (cioè le tre P della miseria) erano il sostentamento pressochè unico dei poveri e l'autorizzazione al prelievo di un tributo all'atto della macinazione del grano scatenò rivolte sanguinose in molte regioni d'Italia. Il Piemonte, che le guerre avevano ridotto allo stremo, ricorse alle imposizioni piu gravose (e in questo caso piú impopo lari) per evitare il crollo finanziario e per cercare in qualche modo di rinsangua re le casse. Scoppiano disordini anche nel Veneto, e la situazione diviene inso stenibile per contadini, braccianti, manovali, minatori che sono costretti ad emigrare: in quell'anno 22.540 emigranti (cfr. Rivista Bellunese n. 2) lasciano la Provincia, molti per ritornarvi a fine stagione, alcuni per stabilirsi all'estero da dove raramente torneranno in Italia.  

Inizia così, con l'Unità, il fenomeno dell'emigrazione che si andrà via via estendendo anche nel nostro Comune dove, nonostante qualche attività arti gianale (fabbrica di padelle e caldaie, lavorazione del ferro e rame con produ zione di aratri, velocipedi, viti di enormi dimensioni, caldaie scaldaletti e anco ra fabbriche di terracotta - da un relazione della Camera di Commercio e Arti del 1870) non c'è lavoro, ne pane per tutti. Nemmeno la costruzione della ferrovia Treviso-Belluno riesce a togliere la Provincia da quell'isolamento che è indicato come una delle principal i cause dell'emigrazione, anche se l'attuazio ne della ferrovia è stata lungamente caldeggiata nella speranza che "codesta onnipotente forza civilizzatrice (la ferrovia appunto) venisse a scuotere la involontaria inerzia e a ravvivare con un soffio animatore le addormentate e nascoste ricchezze" (N. Ronchi, Sullo stato econômico ...). E l'emigrazione continuerà, anche se con mete e in situazioni diverse, fino ai nostri giorni. Ci è parso interessante un articolo pubblicato ne "L'alpigiano" gazzetta della Pro vincia di Belluno il 15 novembre 1884 e dedicato all'emigrazione, in cui si ricorda l'opinione dell'ex Ministro Berti, il quale, in una seduta del 19.1.1883 del Consiglio Nazionale, ebbe a dire: "Rispetto a questo fenomeno economico dell'emigrazione non parmi che vi sia altra via da seguire; o impedirla, o aiutarla in tutti i modi; via di mezzo non ce n'è. Impedirla non lo possiamo e, secondo me, non ne abbiamo il diritto; per conseguenza bisognerà fare tutto il possibile per aiutarla... La emigrazione italiana rivolta verso gli Stati dell'Ame rica Meridionale, ogni giorno va assumendo proporzioni sempre più gravi ed imponenti, da reclamare un pronto e valido provvedimento a sua tutela, dire zione e guida ... La emigrazione non la si può impedire; non si arresta la marea che scende, nè il fiume che corre al piano. Essa ha la sua ragione nella legge immutabile della natura, la quale impone all'uomo il crescere, moltiplicare, per popolare ogni angolo piu remoto della terra". 

Non si sa se nella stessa seduta il consiglio Nazionale prendesse in esame anche l'opportunità di creare nuovi posti di lavoro!   

Sono questi gli anni in cui nascono in Provincia le prime forme di associazio nismo e cooperativismo che in altre parti d'Italia erano già diffuse: nascono le cooperative di consumo, le latterie sociali, le società del mutuo soccorso. A Sedico nel 1884 si costituisce la Società Operaia di Mutuo Soccorso "Felice Cavallotti", informata probabilmente a principi radicali. Pare però che si fosse costituita in seguito un'altra Società di Mutuo Soccorso, cattolica questa, ma della quale non si hanno notizie certe. Tutte queste forme di associazionismo svolgono, per la maggior parte, la loro attività in campo assistenziale come si può chiaramente desumere dalla lettura dello Statuto della Società stessa, approvato dall'Assemblea degli aderenti, tenutasi in Sedico Il 27.1.1884. La Società, come molte altre, ebbe vita e ragione di esistere finchè non entrarono in vigore quelle norme di assistenza pubblica che tutelarono i diritti dei lavoratori, dando loro assistenza in caso di infortunio o malattia. La Società Operaia di Sedico si ricostituti nel 1946 limitandosi a un omaggio natalizio ai vecchi soci.  

L'Unità d'Italia non era ancora praticamente realizzata che nuove guerre (di espansione questa volta) vennero intraprese sul suolo d'Africa, essendo con vinti i governanti italiani di allora, sull'esempio degli altri Stati Europei, che i possedimenti coloniali costituissero fonti di ricchezza e dessero prestigio alla Nazione.  

Così, in Eritrea prima, in Libia poi, anche i nostri concittadini (come docu mentano le foto) diedero il loro contributo alla conquista di queste terre che si dicevano ricche e fertilissime e dove i nostri connazionali avrebbero potuto vantaggiosamente emigrare. Alla resa dei conti però, solo 45.000 (contro i 10.000.000 vagheggiati da Mussolini) trovarono lavoro in Libia e 4.000 in Eri trea.   

Gli inizi del '900 vedono un aumento demografico e un certo miglioramento dell'economia che proseguì per una dozzina d'anni all'incirca. Vi contribuirono certamente, oltre ad altri fattori di politica estera, l'espansione del movimento cooperatistico, l'emigrazione, l'avvento della "Rivoluzione industriale": au mentarono i salari, migliorarono quindi le condizioni economiche, diminui di conseguenza l'indice di mortalità. Crebbero, di pari passo, le istanze sociali e i lavoratori, guidati da socialisti, sperimentarono un nuovo sistema di lotta sociale, lo sciopero. Anche nel bellunese se ne verifico uno, tra i minatori della Val Imperina, caratterizzato da scontri con le forze dell'ordine "... che non degenerano anche per l'intervento del socialista rivoluzionario Pietro Perera". (da "Le Regioni dall'Unità ad oggi - il Veneto", Emilio Franzina pg. 714). Un altro episodio, più grave questo, si verifico a Santa Giustina dove i dimostranti, in uno scontro con la polizia, ebbero quattro morti. Alcuni sedicensi che aveva no preso parte alla dimostrazione, si dispersero rapidamente nella campagna per far ritorno in paese. Così il Governo "concede una sessantina di milioni destinati al pagamento dei crediti delle cooperative e dà un primo finanzia mento di nuove opere pubbliche" (da "Storia contemporanea del bellunese aspetti del movimento socialista bellunese" Silvano Cavallet). I dirigenti socia listi sanno bene che si tratta di provvedimenti del tutto provvisori e perciò gli scioperi vengono soltanto temporaneamente sospesi. Ma la prima guerra mon diale ci vede ancora una volta in prima linea, anche se, fino al 1917, il territorio del nostro Comune è "retrovia": e infatti fra Landris e Seghe di Villa, in alcune baracche adibite a laboratorio, una cinquantina di donne sono addette alla lavorazione di corde per i militari che combattono in montagna. Più oltre, in aperta campagna, la polveriera e nel "brolo" di Villa Miari il parco macchine costituito dai gloriosi BL (con ruote basse) e BL/R (con ruote alte) e poi ancora baracche per i militari, per le officine, per le scuderie. A Villa Patt si insedia il Comando della 4ª Armata. A Bribano, nelle scuole Elementari, c'è l'ospedale e ancor oggi sul davanzale di una finestra al primo piano si possono leggere ben incise sul cemento le parole che restano di una scritta lasciata probabilmente da uno dei feriti "L.. cura ..s ospedal di perire di fam". Qui venivano portati i feriti dall'Agordino, da alcuni volontari della sanità giunti da Firenze, che si erano accampati con i loro mezzi nel cortile della famiglia Da Poian, a Mezza terra. Sempre a Bribano (dove oggi ci sono la Giorik e l'IBSA) c'erano alcuni depositi di viveri e foraggio che furono prelevati dalla popolazione pochi giorni prima dell'invasione tedesca dei 1917. Le baracche rimasero vuote e servirono così da dormitorio ai soldati tedeschi che avevano installato il loro comando all'Albergo Buzzatti e nel Pastificio avevano rinchiuso i prigionieri italiani provenienti dal Grappa, in attesa di essere inviati in Austria. Essi si salvarono perchè gli austriaci se ne andarono prima.  

1917: un anno che i piú vecchi fra i nostri concittadini non potranno dimenti care, l'anno di Caporetto, della sconfitta, della ritirata delle nostre truppe, della fame e di tanti caduti, naturalmente, che saranno ricordati e i cui nomi si possono leggere sulle lapidi commemorative che per loro sono state erette. Ma la guerra finisce, bisogna sopravvivere, riprendere la vita di ogni giorno, più dura, ora, certamente perchè infiniti sono i problemi da affrontare e risolvere; ma si spera nella pace, nella ricostruzione. E il primo suono delle nuove campa ne, nel novembre dei '22, è accolto come "... un cantico solenne e maestoso al Signore, un inno alla riconoscenza a tutti quegli eroi che con la vittoria delle armi ci hanno restituito anche le campane" (Bollettino parrocchiale del no vembre 1922) e la speranza in un futuro migliore.  

Ma su quel futuro già si profilava l'ombra di Mussolini. Storia recente, quindi, che molti fra i più anziani hanno vissuto e ricordano, che molti tra i piu giovani dovrebbero conoscere perchè crediamo che non possa esserci coscienza del presente se non c'è memoria del passato. 

Scorrendo le pagine del nostro Bollettino Parrocchiale (che inizia la sua pubblicazione nel 1920), leggendo fra le righe di articoletti che a una prima scorsa possono sembrare poco significativi ci si rende conto che, pur tra infini­te difficoltà, la comunità ha ripreso a camminare: con volontà e con determinazione. Nonostante la grande crisi dei '29, la Guerra d'Etiopia, l'emigrazione nell' agro Pontino per le bonifiche e la guerra di Spagna sorgono in paese alcune istituzioni degne di essere ricordate: la casa di riposo che "prese il via da una donazione nel 1927 della signora Antonietta De Toffoli" (istituzione che per anni visse anche delle offerte raccolte tra la popolazione), gli asili di Bribano e Sedico (quest'ultimo donato da Giovani Conz nel 1921), le scuole, la ferrovia Bribano - Agordo, voluta dalla Montecatini e portata a termine nel 1925, cc.. Gli altri avvenimenti, di cronaca o soggetti di una visione storica dopo un conveniente spazio di tempo, sono sotto gli occhi dei più.  

Quella che, a grandi linee, abbiamo tracciato non è e non vuole essere la "storia di Sedico" e non lo potrebbe, del resto, perche le sue vicende economi che, sociali e politiche si intersecano con quelle, a più vasto respiro, della Provincia e della Regione e, seppure ai margini, con esse si compenetrano e si completano. Del resto ci mancano forse i grandi avvenimenti che caratterizza no talvolta un certo territorio. Il nostro lavoro è stato dettato dal desiderio di raccogliere ciò che era possibile di quanto accaduto entro i nostri confini, per conservarne, se possibile, la memoria. Brevi, piccole storie di gente comune, di avvvenimenti minori, che abbiamo appena sfiorato. Questo lavoro vuol essere anche un invito a chi vorrà proseguire nella ricerca.


La pieve 
 

Le pievi, nel territorio bellunese, erano sorte intorno ai 1000 o, probabilmen te, anche prima; della pieve di Sedico abbiamo la prima notizia certa della sua esistenza da una bolla di Papa Lucio III del 1185, in cui si fa chiaro riferimento alla Pieve di Sedico "cum cappellis suis" cioé alla chiesa pievanale e alle altre cappelle minori, distribuite nella zona; il che ci fa supporre che la pieve fosse ben anteriore a questa data.   

La pieve, come comunità religiosa, si è formata probabilmente quando la comunità pagana, convertita al cristianesimo, viene governata da un sacerdote che risiede stabilmente presso di essa, costruendo nella parte centrale del villaggio la chiesa battesimale. Così la pieve diventa un punto di riferimento preciso cui gli abitanti si rivolgono, non solo per conforto spirituale, ma anche perché la vita comunitaria stimola alle iniziative di beneficenza, mette a con fronto il comportamento dei singoli inducendoli al miglioramento della condotta morale di ognuno e perchè, infine, tutti vi possono trovare aiuti e consigli per la vita di ogni giorno.  

E' forse dopo la caduta dei dominio Longobardo e l'avvento dei Franchi, cattolici e favorevoli alla Chiesa, che la vita religiosa ha un maggior rigoglio ed è in quel periodo che sorgono e si organizzano le più importanti parrocchie della vallata, tra cui Sedico. La pieve, generalmente, aveva la sua scuola in cui si formavano i futuri diaconi e i chierici che si preparavano al sacerdozio, ma si formavano anche mediei, giudici, notai.  

E che tale scuola esistesse può essere confermato da un atto notarile dei 15 gennaio 1240, firmato da Marescotto di Villiago - ante Calonice - cioè davanti alla residenza dei parroco, chiaramente indicata al plurale, il che lascia inten dere che non si trattava di un solo edificio, ma di un complesso più vasto, dei quale faceva parte la scuola stessa (da F. Tamis, Rivista Bellunese n. 1).  

Sulla chiesa di Sedico ha scritto in modo esauriente Ferdinando Tamis (Rivista Bell.) ricostruendone, attraverso studi e ricerche, la lunga storia: dali a prima costruzione, presumibilmente di architettura assai semplice, ai vari rifacimenti e ampliamenti lungo i secoli, dettati non solo dalla vetustà dei primo edificio, ma anche dalle mutate e accresciute esigenze di una popolazio ne in aumento.   

La chiesa viene completamente ricostruita nel 1762, per volere del conte Miaro Miari e demolita nel 1955 perché pericolante e in luogo poco adatto alle esigenze del traffico odierno. 

Molte altre chiesette frazionali, alcune ormai scomparse, sorgevano nel ter ritorio di Sedico a testimoniare della fede che sorreggeva gli abitanti in ogni occasione, lieta o triste, della vita. Fra esse ci pare meriti un cenno la chiesetta di San Pietro, che sorge sull'omonimo colle e che la tradizione indica come la più vecchia della parrocchia, antecedente anche alla principal e, dedicata a Santa Maria Annunziata. Se consideriamo che parecchie di queste chiesette furono costruite nel XV e XVI secolo, se teniamo conto dell'esiguità della popolazione di allora (6) e delle precarie condizioni economiche della quasi totalità dei villici, possiamo anche immaginare quali sacrifici costasse la ere zione di tante cappelle. In queste non c'era un sacerdote residente, ma le funzioni vi venivano celebrate soprattutto in occasione della festa (o sagra) del Santo patrono e nello stesso giorno si celebrava anche l'anniversario della consacrazione della chiesa, dell'altare e del cimitero attiguo (quando c'era) e ciò per evidenti motivi pastorali: in quell'epoca infatti non c'erano molti sacerdoti, per cui si riunivano in una le due festività, alle quali erano obbligati, dalla Regola, a parteciparvi tutti i villici. E questo non fa meraviglia se, come abbiamo già detto, consideriamo che la parrocchia era anche il centro della vita civile e sociale di allora. Pensiamo, d'altro canto, che dovevano essere veramen te poche le occasioni di "svago" in quei tempi, soprattutto per gli abitanti del Contado, per cui ogni motivo di incontro doveva essere il benvenuto, se non altro perché in quei giorni ci si ritrovava sì, per soddisfare particolari devozioni, ma si interrompeva pure il lavoro dei campi e quindi una routine piuttosto faticosa. 

Le sole due chiesette che non obbedivano alla Regola dell'unica celebrazione erano quelle di Santa Margherita (ora Santa Lucia) di Longano e quella di San Lorenzo di Pasa: e ciò perché, anticamente, il calendario liturgico diocesano celebrava la festa di San Lucano, patrono della Diocesi, il 20 luglio, giorno dedicato a Santa Margherita e non parve opportuno sovrapporre questa cele brazione a quella, molto più antica in onore del patrono. Cosi a Longano si festeggiava la Santa il 1º marzo e a Pasa la seconda domenica di aprile.  

Della chiesetta di San Lorenzo si è parlato recentemente dopo che, del tutto fortuitamente, sono venuti alla luce degli affreschi che ricoprono interamente la parete d'ingresso e quella di sinistra della chiesetta e che raffigurano scene della vita del Santo (attualmente sono in restauro). Certamente il ciclo pittori co doveva completarsi nella parete di destra (col martirio del Santo, molto probabilmente), ma sappiamo che nel 1697 circa, il conte Zuppani richiese l'autorizzazione per demolire la chiesetta già vecchia e pericolante, la ottenne, ma nella visita pastorale del 1708, della nuova chiesa non si parla più. E' probabile perciò che la chiesa sia stata soltanto restaurata, con il rifacimento della parete destra, che nel frattempo era crollata. Così si spiegherebbe la scomparsa degli affreschi su questa parete. Interessante ci pare ancora una notizia sulla chiesetta di Villiago, dedicata a San Girolamo: essa era l'unica della pieve di Sedico ad avere il privilegio delle indulgenze, per cui i fedeli vi si recavano in penitenza, a piedi, quattro volte all'anno: il 30 settembre, nelle feste di Santa Croce, dei Santissimi Innocenti e di San Biagio. Oggi la chiesa è dedicata a Sant'Antonio Abate, come quella di Carmegn, in cui anticamente si celebrava la festa solenne del Santo per tutta la pieve di Sedico. 

In un paese dall'economia prettamente agricola, come era allora Sedico, il culto di Sant' Antonio Abate doveva essere particolarmente sentito; infatti la sua immagine era venerata un po' dovunque.  

La chiesetta di Carmegn era anche una stazione delle rogazioni, antichissi me funzioni religiose, l'origine delle quali risale probabilmente ai primi secoli dell'era cristiana. Le Rogazioni, dette Maggiori, ebbero origine nel 598 d.C., quando Gregorio Magno comando la loro celebrazione per impetrare la cessa zione della peste che stava decimando la popolazione di Roma. La processione, cui presero parte Clero e popolazione, prese il via dalla chiesa di Santa Maria Maggiore, donde il nome di rogazioni Maggiori. Quelle minori, invece, si fanno nei tre giorni precedenti la festa dell'Ascensione per chiedere la protezione sul raccolto e fino a non molti anni fa si poteva vedere snodarsi per le vie del paese una lenta processione che, con canti e preghiere, giungeva fin nelle frazioni, con un itinerario ben preciso che poteva durare l'intera giornata. Oggi sono quasi scomparse: se ne fanno solo tre: da Prapavei a Boscon, da Villiago a Triva e da Landris a Villa.  

Che il culto dei Santi fosse vivo fin dai tempi remoti lo attesta un calendario liturgico locale, riportato dal Vescovo Lollino nel 1602 in una sua relazione della visita pastoral e fatta alla pieve di Sedico e desunto da un antico messale che esisteva nella sagrestia. Il calendario risale probabilmente alla metà dei secolo XV e vi si nota una aggiunta, certamente posteriore, (riguardante il culto di San Rocco) perché solo dopo Il 1485 il culto per tale Santo si diffuse nel Veneto.  

San Rocco era il protettore contro la peste, ma nelle campagne era invocato contro le catastrofi naturali e ciò potrebbe spiegare perché a Sedico fu associa to a San Nicolò, protettore degli "Zattieri"; a lui fu dedicata una chiesa alla confluenza del Cordevole con il Piave, luogo che fu certamente testimone di calamità naturali. 

Nella piccola chiesa di San Nicolò, sorta come oratorio della famiglia Buz zatti nel 1500, si trova un'opera di grande valore artistico, un trittico raffigu rante al centro la Madonna col Bambino, a sinistra San Nicolò Vescovo e a destra San Rocco, dello pseudo Boccaccino, pittore che solo alla fine dell' 800 venne identificato in Giovanni Agostino da Lodi.  

Il trittico fu al centro, nel 1895, di una singolare vicenda che vide coinvolti, in una vivace polemica, i cittadini di Bribano e l'Amministrazione comunale per la paventata vendita dell'opera.   

La "battaglia" si protrasse per alcuni mesi, ma alla fine venne riconosciuto al Comune "il diritto di legale possesso per ogni effetto di legge, della chiesa ed oggetti citati, onde ad esso e non ad altri spetta di farsi custode e consegnatario degli oggetti medesimi al fine di impedirne I'asportazione e di curarne, più che sia possibile, la conservazione" (da una deliberazione della Giunta del Comune di Sedico). 

Così si chiudeva questa movimentata vicenda ed il trittico, in seguito restau rato, torno sull'altare dell'oratorio, dove si trova tuttora.  

Come era consuetudine dei tempi (e cioè fino al 1811) ogni chiesa aveva, attorno alle sue mura perimetrali, il piccolo cimitero dove venivano sepolti non solo gli abitanti della pieve, ma anche i pellegrini che avevano la sventura di morire durante un viaggio; cosi avevano il loro piccolo Camposanto non solo la chiesa di Santa Maria Annunziata, ma anche quella di San Giacomo a Briba no, di San Lorenzo a Pasa, di San Pietro in Corona.  

Un cenno meritano anche le varie confraternite costituitesi nella Pieve, lungo i secoli, da quella più antica dei Battuti detta anche "scuola della Beata Vergine dalle cape bianche" a quella del Santissimo Sacramento, del Rosario, delle Anime Purganti; confraternite che provvedevano tutte, oltre che al deco ro della chiesa, al soccorsso dei poveri, degli infermi, alle spese dei funerali dei più indigenti ma che talvolta, forse, non impiegavano nel modo migliore le risorse disponibili, se nel 1661 i confratelli della "scuola della Beata Vergine" vengono rimproverati di spendere troppo "in pasti e simili magnarie". 


NOTE

1) Regolieri: rappresentanti della Comunità eletti dagli abitanti di ogni Regola, composta dai mango (capo regola), dai giurati e dai Sindaci che provvedono a far rispettare le consuetu dini locali. 

2) Angherie: obblighi a cui gli abitanti delle Pieve devono sottostare, gratuitamente o a pagamento: obbligo di costruire remi, di rifornire i soldati di armi e i "clarissimi rettori de legne, fassine paglia et feno a soldi 4 il carro", a importare dai paesi vicini biade e vino, a portare in citta 'per mesi sie ogni giorno carra n. 100 di legna". Una supplica al consiglio Maggiore di Belluno e di Venezia perche tali angherie siano alleggerite, viene inviata anche dalla Pieve di Sedico. 

Colte: imposte raccolte a nome di Venezia ma anche di Belluno, quando si devono sostenere spese straordinarie (e ciò accade spesso) per es. in caso di epidemie, di opere pubbliche, per forti indebitamenti o per spese militari. Esse vengono pagate secondo i beni che ognuno possiede. 

Livello: consiste nel concedere un credito al contadino il quale è tenuto, oltre al pagamento dell'interesse sul prestito, a sottostare a certi vincoli che fanno dei "livello" una vera e propria ipoteca, spesso con tassi di interesse così alti che il debitore non riesce a estinguere entro i 29 anni previsti come limite per il riscatto. 

3) Territorio dei Piano: era costituito da 7 Pievi, 3 sindacarie e della Regola della Terra, cio è la zona dell'immediata periferia della città. Le 7 Pievi erano: Alpago, Castion, Sedico, Frusse da (ora Ponte nelle Alpi e Cadola), Pieve di Lavazzo con Longarone e Castellavazzo, Limana, San Felice (ora Trichiana). Le sindacarie erano: Mier, Oltrardo e Pedemonte (l'odierna parte alta dei Comune di Sedico, che si estendeva fino a Tisoi). 

4) E a proposito di prestiti merita di essere ricordato un episodio: gli abitanti di Sedico devono ricorrere, nel 1504, ai prestiti di 2 usurai ebrei, Mosè e Raffaele, abitanti in Belluno per pagare le spese sostenute dai loro rappresentanti che si sono dovuti recare a Belluno e a Venezia per discutere Ia questione dell'estimo. 

5) Accademia degli Anistamici: società letteraria costituitasi in Belluno nel XVIº secolo ad opera dell'umanista e poeta Pierio Valeriano Bolzanio nato a Belluno neI1477. 

Tra alterne vicende la società, nel 1734, si ricostituisce e prende il nome di Accademia degli Anistamici. Mentre al suo sorgere e fino al 1700 si occupa prevalentemente di discipline letterarie e filosofiche, più tardi, in seguito allo sviluppo dell'agricoltura, tratta problemi, per lo piú, di carattere economico e agrario. Continua la sua attività fino al1865. 

6) Aveva la sua sede in Via Rialto, dove oggi è il Palazzo Minerva (Rivista Bellunese n. 5). 

 


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Vendramini Ferruccio, La rivolta dei contadini bellunesi nel 1800, Feltre, 1972. 
Toigo Giuseppe, L'evoluzione a Feltre della scuola dell'abaco e i suoi principali maestri, in Dolomiti n. 2, 1985. 
Franzina Emilio, Il Veneto, le Regioni dall'Unità ad oggi, Torino, 1984. 
"L'Alpigiano", Gazzetta della Provincia di Belluno, 1884 (Biblioteca Civica di Belluno). 
"Bollettino Parrocchiale di Sedico", dal 1920 (Parrocchia di Sedico). 
Cavallet Silvano, Storia contemporanea del Bellunese - Aspetti del movimento socialista bellunese, Feltre. 

 

 

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