Di Egidio Pasuch
Che senso può avere uno studio sull’emigrazione locale? E prima ancora, è possibile una storia dell’emigrazione del Comune di Sedico? Una risposta a queste due domande mi sembra fondamentale per non chiedere troppo all’intervento che segue che non ha né le ambizioni né le proporzioni di uno studio o di una ricerca. Dunque: è possibile una storia dell’emigrazione in comune di Sedico? Quali sono i dati ed i documenti che possidiamo ed in base ai quali possiamo perlomeno tracciare un profilo di un “particulare” (ma solo perché limitato ad uno specifico ambito locale) del fenomeno migratorio? Anche in questo caso esistono evidentemente delle enormi difficoltà a quantificare innanzitutto il fenomeno. Sì, certo, qualche dato molto approssimativo e condizionato da molte incertezze e “distinguo”, è comunque disponibile. Ma niente di concreto e di sicuro. E così viene la tentazione di ricorrere anche noi ad una “storia sociale”. La quale, date le esigenze di questa nostra pubblicazione, riuscirebbe estremamente sproporzionata, probabilmente fuori luogo, comunque, credo, poco gratificante per l’autore di questo approfondimento e per il lettore, non certamente uno specialista. Mettiamo subito le mani avanti dunque per quel che concerne l’utilizzazione delle fonti, già di per sé estremamente scarse, superficiali e lacunose, come hanno sempre lamentato quanti prima e naturalmente meglio di noi hanno approfondito questa materia, anche in ambiti più ampi. Certo, la risistemazione (forse non è il caso di parlare di un vero e proprio “riordino”) degli archivi comunali – ora finalmente a buon punto – e di quelle parrocchiali – ai quali non si può comunque chiedere troppo – potrà dare qualche contributo più preciso all’argomento. Una storia dell’emigrazione in comune di Sedico nasce dunque condizionata da questa serie di osservazioni che limitano il lavoro del ricercatore, e in parte anche lo scoraggiano. Che senso può avere allora questo nostro “intervento”? Non pretenderemo, a questo punto è chiaro, di dare alcun contributo ai tanti, imponenti, e da noi inattaccabili, studi che esistono sull’imigrazione bellunese e veneta. Ciò che le fonti e l’occasione ci consentono è la ricerca in sede comunale di un riscontro o di una serie di riscontri che più in generale è il fenomeno migratorio nel Veneto e nel Bellunese. A questo limite, che giá ci poniamo come fine, aggiungeremo un secondo limite, per così dire cronologico. Prescinderemos pertanto anche da qualsiasi analisi sul tipo di emigrazione che è tutt’ora in corso per il quale non ci sentiamo preparati, per le complicazioni di ordine politico, sociale ed economico almeno, che un’analisi di tal tipo comporterebbe. 1. L’emigrazione nella montagna veneta Nell’ultimo quarto del secolo scorso l’emigrazione dal Veneto assunse proporzioni eccezionali: tra il 1876 ed il 1900 emigrarono stabilmente 400.000 persone mentre almeno 55.000 si recarono temporaneamente all’estero per motivi di lavoro. In pratica, circa um 13% della popolazione veneta cercò stabilmente all’estero, in questi anni, le condizioni per un tipo di vita migliore o, addiritura, le possibilità di sopravvivenza. In quasi tutto il Polesine e in altre zone delle province di Treviso Venezia e Verona l’esodo definitivo riguardò quasi un 30% della popolazione. Le punte più alte si registrarono tra il 1888 ed il 1891, negli anni neri dell’economia italiana, più o meno in concomitanza con la grande crisi agraria. La montagna veneta e quella bellunese furono interessante soprattuto dall’emigrazione temporanea. L’aumento graduale ma continuo della popolazione in una zona caratterizzata dalle limitate risorse del terreno spinse all’estero, dalle montagne di tutto il Bellunese, delle vere e proprie masse di minatori (che estraevano il carbone, dalle miniere della Westfalia, o il ferro, in Lussemburgo), di muratori e di fornaciai (diretti in Croazia, in Romania, in Ungheria), di taglialegna e di carboni (che praticavano la loro attivitá in Carinzia o nella Stiria), di manovali (che inseguivano verso oriente la costruzione delle reti ferroviarie e stradali). Quanti furono questi emigrati temporanei che ogni anno partivano a primavera per poi tornare a casa soltanto per svernare? Si è detto 55.000. Altri dati addirittura ci portano ad alzare Ia cifra a 100.000 unità negIi anni piu difficili (ci riferiamo a dati reIativi a tutta Ia montagna veneta). Ma ogni quantificazione, almeno per tutto l'Ottocento, e impossibile. E questo, 10 riba¬diremo ancora piu avanti, vale anche per il Bellunese e per Sedico. Secondo i dati piu attendibili, I'emigrazione temporanea dal Bellunese ri¬guardo all'incirca un 11% dell'intera popolazione. Le percentuali piu alte furo¬no rilevate nei distretti di Agordo e di Auronzo. Quelle piu contenute riguarda¬rono invece Ia Val Belluna, Ia parte piu bassa e meno improduttiva dell'intera provineia. Insomma, per arrivare ad arrischiare delle eifre (dal momento che le prime statistiche ufficiali serie si riferiscono soltanto ai primi anni dei secolo in corso) potremmo rifarei ai dati fomiti da Riccardo Volpe, segretario della Camera di Commereio di Belluno. Secondo questi dati, nel 1869 sarebbero stati 11.092 gli emigranti temporanei in altre province dei Regno d'Italia, men¬tre 11.178 sarebbero stati quelli che si dirigevano verso I'estero. Ecco, una prima precisazione. L'emigrazione verso le altre province dei Regno era dunque notevoIe. Riguardava finestrai che partivano dai Cadore, fabbricatori di seggiole che scendevano dalI' Agordino, domestiche e cuochi che dalI'Alpago si recavano soprattutto a Venezia, balie che andavano a svezzare i rampolli delle migIiori famiglie di Milano, Firenze, Torino, Padova o Venezia. Dunque, vi fu anche un'emigrazione femminile, seppur contenuta. Se scarse erano le donne che partivano ai seguito dei mariti nelle lunghe trasferte in terra asburgica, piu rilevante e comunque da sottolineare, fu l'emi¬grazione delle donne bellunesi verso altre province del Regno. Circa un 14-15% dell'intera popolazione emigrante era costituita da donne che partivano come domestiche o come balie, o che si dirigevano verso il Vicentino, a lavorare nelle prime industrie tessili, o nel Trentino occupate in lavori agricoli stagionali. 2. L'emigrazione nella Val Belluna "La Val Belluna - osservava il Migliorini quasi 60 anni fa - ha scarse superfici coltivate a cereali e, di contro alte percentuali di terreno sterile o poco produt¬tivo; notevole è il frazionamento della proprietà; abbastanza alta la densità della popolazione e superiore comunque a quello medio del Regno il suo incre¬mento negli ultimi decenni". Appariva - ed appare anche a noi - naturale che quando la regione comincio a contenere una quantità di popoIazione tale da non poter essere nutrita colle risorse locali il contadino abbia cercato di trovare con altri modi quelle risorse che gli erano negate dalla terra, procurando di ristabilire l'equilibrio tra condizioni economiche e sviluppo demografico. Meno legato, per ragioni riconducibili al minore frazionamento della proprie¬tà, dei "montanaro" alla casa e ad un terreno di cui era soltanto "colono", mezzadro, cerco nell'emigrazione una soluzione definitiva. La Val Belluna e caratterizzata appunto, in questi anni, da un'emigrazione definitiva che rag¬giunge percentuali elevate (intorno al 10%), e per contro da un'emigrazione temporanea contenuta rispetto alie altre aree della provincia (perlomeno l'ultimo quarto dei secolo scorso). L'emigrazione propria, definitiva, generalmente transoceanica, comincio ad acquistare una certa rilevanza a partire dal 1880. Si tratto dapprima di piccoli proprietari rovinati dalle imposte elevatissime o dalle cattive raccolte; solo piu tardi partirono anche i piu miserabili che non riuscivano neppure a mettere assieme il necessario per pagare un biglietto per l'America che costava attorno alie 200 lire. Poi vennero le facilitazioni di viag¬gio delle compagnie di navigazione o di quelle brasiliane di colonizzazione. Intensa era la domanda, in Brasile soprattutto, di manodopera a basso prezzo, determinata dall'abolizione della schiavitù e dai programmi governativi di colonizzazione interna. Fu dunque l’America ad abbagliare i primi emigranti che decisero di lasciare definitivamente la patria. Ma non per questo venne a mancare il peso, comun¬que rilevante, seppur di gran lunga inferiore a quello di altri distretti, dell'emi¬grazione temporanea. Fino alla prima guerra mondiale l'emigrazione quasi sempre temporanea si diresse soprattutto verso Austria, Germania, Svizzera e Lussemburgo. La guerra ridusse notevolmente le proporzioni dell'emigrazione temporanea che divenne insignificante, negli anni dei conflitto, ma che riassunse subito dopo quote elevate. Nuove furono questa volta le mete: Francia e Belgio avevano una domanda di manodopera molto elevata, dati i danni apportati dal conflitto. E l'emigrazione parlo per qualche anno soprattutto francese. 3. L'emigrazione da Sedico prima della grande guerra Se si deve prestare fede ai dati forniti dall'Errera e relativi al 1869, vi erano a Sedico, all'indomani dell'unità, 232 emigranti su una popolazione di circa 3700 abitanti, la massima parte dei quali dediti al lavoro dei campi dal momento che i primi stabilimenti "industriali" non erano in grado di dare lavoro che a poche decine di operai. Altre attività artigianali o industriali di rilievo Sedico non poteva vantarne. L'emigrazione sedicense pertanto ritrova le sue cause negli stessi fattori che determinarono il fenomeno in ambiti piu vasti. Piu avanti, trattando della natura dell'emigrazione e dell'origine degli emigranti, com¬prenderemo meglio anche queste affermazioni. Dei 272 emigranti ricordati dall'Errera, la maggior parte si rivolgeva ai paesi oltreconfine. Solo 65 si indirizzarono verso altre regioni dei Regno. Ma quando nacque il fenomeno migratorio dei Sedicense? Presumibilmente, dal momento che non possiamo documentare diversamente le nostre affermazioni, negli stessi anni in cui il fenomeno andava nascendo nel resto della provincia, vale a dire nei primi decenni dei secolo scorso. E per prestare fede ad un documento che fede diversamente non meriterebbe data la superficialità della sua natura, (ci riferiamo ad un fin troppo noto studio sull'emigrazione di Antonio Maresio Bazolle) potremo anche azzardare che in origine il fenomeno dovette essere meno appariscente che in altre zone. D'altra parte questa supposizione trove¬rebbe riscontro nel più vasto contesto della Val Belluna. La maggior parte degli emigranti segui quasi sicuramente le direttrici piu comuni, verso i paesi del¬l'Impero. I soli documenti che possiamo addurre a sostegno della nostra tesi (ma non dimentichiamo quello che e il solo nostro obiettivo, di trovare cioé dei riscontri locali ad un fenomeno già piuttosto noto e preciso nei contomi) sono alcune delibere di giunta che attestano la presenza di emigranti sedicensi che per motivi di salute erano stati ricoverati negli "ospitali" di Wieden e di Leo¬ben e di altre località dell'Impero. Troppo poco, si potrà obiettare. Certo e che dalle nostre ricerche non sono emersi elementi che potessero sviarci da questo orientamento: insomma quei pochi documenti rinvenuti, vanno tutti a soste¬gno delle ipotesi già avanzate. L'emigrazione temporanea, pur finendo molte volte per sfuggire nella sua complessità anche agli occhi dei contemporanei tanto da apparire come qual¬che cosa di scontato, neppure degno di essere segnalato sui registri dei comune o della parrocchia, costitui comunque un fenomeno di notevole rilievo anche per il comune di Sedico. A voler passare ad una rielaborazione dei dati ufficiali forniti sugli emigranti che annualmente si allontanavano per motivi di lavoro dalla loro terra, ci si accorge che nell'intero contesto della Val Belluna il comune di Sedico arrivo a toccare le percentuali d'incremento maggiori. Se nel 1884 partirono da Sedico soltanto 30 persone ogni 1000 abitanti (il comune ne contava allora poco meno di 4000) nel 1900, anno in cui si tocco la percentuale dei partenti piu alta, si allontanarono per motivi di lavoro 154 sedicensi ogni 1000 abitanti. A livello di percentuali assolute, solo Trichiana, tra i comuni della Val Belluna, stava peggio di Sedico (196 emigranti ogni 1000 abitanti). Ma a Trichiana l'emigra¬zione raggiunse 3 anni piu tardi proporzioni incredibili. Il 30,5% della popola¬zione sarebbe infatti emigrata. Il condizionale a questo punto è d'obbligo date le già richiamate difficoltà ad accogliere come veri tutti i dati in nostro posses¬so (pubblicati comunque anche dal Migliorini). Nel 1910 le percentuali annue di emigranti si abbassarono nuovamente: si arrivo a sfiorare appena l'8,4 % . La guerra, poi, dovette quasi cancellare il fenomeno ed orientarlo, successivamente, verso nuovi obiettivi (Francia e Belgio in primo luogo). Va detto inoltre che una sia pur superficiale lettura dei registri parrocchiali ci ha portato a conoscenza di un certo numero di battezzati in Svizzera nel primo decennio del secolo. Il che ci fa pensare che una buona percentuale di emigranti si fosse orientata via via verso questo paese, e qui, a differenza degli altri paesi europei, molti emigranti dovettero stabilirsi permanentemente per piu anni assieme alla famiglia. Per quel riguarda l'emigrazione vera e propria, definitiva e, quasi sempre, transoceanica, i dati in nostro possesso sono davvero pochi ma stanno ad indicare l'importanza e le proporzioni del fenomeno. Nello "stato della popolazione" residente in Parrocchia di Sedico il parroco don Giovanni Battista Pagello riportò, ci si augura con una certa sistematicità, le partenze definitive di quanti si dirigevano in America. Lo stesso discorso ¬crediamo di poter obiettare subito - avrebbe potuto essere fatto anche per quanti si fossero sistemati definitivamente in altri paesi europei. Ma forse ai contemporanei - e Giovanni Battista Pagello non costitui dunque una eccezio¬ne -l'emigrazione, sia pure di una intera famiglia, verso altri paesi dell'Europa, non dovette mai apparire come qualche cosa di definitivo. Questo forse anche in virtu dei rientri in patria piuttosto frequenti e del desiderio comunque presente nell'emigrante di ritornare un giorno definitivamente a casa. Impres¬sione ben diversa dovettero invece fare le partenze di interi nuclei familiari che salpavano per l'America. Nei registri parrocchiali la prima partenza alla volta di un paese Americano risale al 1876. Il 30 settembre di quell'anno infatti partirono per il Venezuela Giovanni Battista Bristot assieme alla famiglia di Giacomo Cugnago, coloni di Bribano. L'analisi degli stati della popolazione residente nella parrocchiale di Libano potrebbe forse anticipare la data delle prime partenze, di qualche anno, ma ci stupiremmo un poco se la data dovesse essere spostata sensibil¬mente all'indietro. Un numero considerevole lasciò invece il comune di Sedico tra il 1890 e il 1891, diretto quasi sempre in Brasile. Nel 1891, dalla sola parrocchia di Sedico (ci basiamo sempre sullo stato della popolazione residente in parrocchia di Sedico redatto da don Giovanni Battista Pagello) partirono almeno 7 nuclei familiari (all'incirca una quarantina di persone). Altrettanto numerosi furono probabilmente quanti emigrarono in quest'anno dalla parrocchia di Libano. Chi emigrava? Generalmente erano "villici coloni"; soltanto in un caso, quello di Angelo Bonafé, emigrato da Sedico il 12 settembre 1891, don Pagello poté annotare la qualifica di artigiano. Per partire non c'erano età: partivano contadini ormai avanti con gli anni (come quel Giovanni Bortot che a 62 anni suonati lasciò Sedico il 6 novembre 1891 con la moglie ed il figlio Angelo) assieme a bambini in età ancora tenera. La stagione era sempre la stessa: l'autunno quando i lavori della campagna erano ormai terminati e la vendita dei raccolti e dei pochi beni posseduti consentiva di mettere assieme una cifra sufficiente per partire. E si partiva a comitive di 4-5 nuclei familiari indirizzati dagli agenti di emigrazione, approfittando anche delle facilitazioni concesse dalle compagnie di navigazione e dal governo brasiliano che stava mettendo a punto i primi programmi di colonizzazione interna, subito dopo l'abolizione della schiavitù. Ma non si parti evidentemente soltanto alla volta dei Brasile. Molti ma non ci e possibile dire, anche in questo caso, quanti (forse l'analisi di qualche documento contenuto nell'archivio comunale o di qualche relazione dei sinda¬co o dei prefetti di quegli anni potrà darci in futuro qualche risposta esaurien-te) partirono per gli Stati Uniti. Testimonianze in questo senso non mancano certamente. Quarto-Americo e Quinto Mussoi per esempio nacquero in Pensil¬vania durante la grande guerra. Anche senza voler allargare il campo delle fonti dalle quali attingiamo, alle testimonianze orali... 4. L'emigrazione nel primo dopoguerra Un quadro piuttosto originale dell'emigrazione sedicense nel 1º dopoguerra ci viene offerto dagli articoli e dalle rubriche che don Luigi Fiori, parroco di Sedico, pubblico piuttosto frequentemente a partire dal 1925 sul "Bollettino parrocchiale". Gli articoli riservati agli emigranti ebbero buona fortuna se il parroco si decise, per qualche anno almeno, a riservare un certo spazio dei "Bollettino" agli emigranti ed ai loro problemi. "Mi sono accorto-scriveva don Luigi nel 1926 - che il nostro "Bollettino parrocchiale" viene letto volentieri in ogni famiglia, e spedito anche a qualche emigrante... Da parte mia sono con¬tento che la buona parola possa arrivare ai tanti parrocchiani dispersi nelle terre infuocate della Libia, sulle montagne gelate della Svizzera, nei paesi devastati della Francia ed oltre Oceano... Lontani come saranno molti dalle chiese, leggeranno volentieri sul "Bollettino" un pensiero religioso che verrà a sollevare il loro spirito... Vada il mio saluto e l'augurio che possano ritornare in seno alle loro famiglie con un giusto compenso delle loro fatiche". "In questo brano mi pare si trovino le giustificazioni, le legittimazioni, a tante affermazioni da noi fatte, e gli spunti per ulteriori riflessioni”. Luoghi di destinazione, mentalità, cause, affiorano qua e là nel discorso. In particolare ci sembra da sottolineare la preoccupazione del parroco di portare all'emigrante soprattutto il conforto religioso. Emigrare, e chiaro, significava sradicarsi forse definitivamente da tradizioni secolari per venire a contatto con religioni nuove, con mentalità e sistemi di vita ben diversi. L'emigrante, soprattutto quello d'oltre oceano, rimaneva attaccato sostanzialmente alle proprie tradizioni. Ma i figli piano piano se ne staccavano: "Fortunatamente il vieto e beota anticlericalismo dei vari Homais che deliziano i paesi latini (dell'America), non attecchisce nei popoli del Nord. ... E` vero che l'italianità scompare: i vecchi parlano i loro dialetti i giovani non parlano che americano... sono americani e ci tengono ad esserlo... Queste affermazioni servono anche, ci pare, ad evidenziare le proporzioni dei fenome¬no migratorio verso i paesi del Nord America. Una rubrica del "Bollettino" venne dedicata, con una certa frequenza, diret¬tamente agli emigranti, fin dal 1927. Generalmente i contenuti erano quelli già accennati: dominavano le percentuali di carattere morale e religioso, gli episo¬di edificanti, le storie di emigranti (come quella di Luigi Pasuch che in America morì cristianamente dopo essersi affermato come maestro di musica). Ma non mancarono informazioni di carattere giuridico, osservazioni di natura sociale e politica. A proposito degli emigranti stagionali il "Bollettino" scriveva nel numero di febbraio del 1928: "Un buon numero di giovani e di padri di famiglia si preparano in questi giorni a lasciare il paese per recarsi altrove in cerca di lavoro. E' una dura necessità dei nostri paesi che non offrono lavoro sufficiente a tutte le braccia". L'emigrazione non era pertanto, come qualcuno allora sosteneva, una scelta di comodo dettata dal desiderio di guadagni. Tuttavia vi erano dei pericoli, soprattutto per le donne: "E' questa la stagione (febbraio) in cui anche tante ragazze corrono nelle città per collocarsi a servizio in qualche famiglia". Uno spettacolo, questo, che sembrava, al parroco perlomeno, particolarmente tri¬ste, "perché si sa a quali pericoli sono esposte nella loro inesperienza e quanto cambiate (raramente in meglio) ritornano dopo qualche anno". "A Milano ¬raccontava don Fiori - c'erano molte ragazze della mia parrocchia. La tale è tutte le sere in Galleria con i bersaglieri ed è di tutti, la tal'altra che sem brava tanto seria e diventata una leggerona, Tizia si è fatta cacciare di casa dai padroni, Caia, quando può, non manca ai festini, Sempronia è stata vista ai giardini in compagnia di un tipo poco rassicurante. In paese tengono un comportamento frivolo, capricciose, consumano nei vestiti e nei divertimenti buona parte dei guadagni". Le preoccupazioni di don Fiori erano quelle di molti. Ma altre fonti ci dicono quanto fossero apprezzate le ragazze che si recavano in giro per l'Italia come balie o come "serve". Proviamoci ora a mettere delle cifre in mezzo a questo quadro di natura soprattutto sociale. Nella relazione sulla struttura e sull'andamento demogra¬fico della provincia di Belluno nel 1931 un primo dato risulta con una certa evidenza: il calo della popolazione residente in comune di Sedico tra il 1921 ed il 1931. Gli abitanti nel 1921 erano 6772; quelli dei 1931 erano 6505. Un calo di ben 267 unità che il consiglio dell'economato corporativo spiegava con l'emigrazione (che la crisi dei dopoguerra aveva incrementato) che andava trasformandosi sempre più in permanente. Per porre freno a questo esodo dalla provincia, il Governo aveva preso dei provvedimenti concretizzatisi in un piano di intervento dei 1927 che prevedeva rimboschimenti, sistemazioni di bacini montani, miglioramento di pascoli e potenziamento dei turismo. Ma più di questi provvedimenti poté la crisi stessa che colpi prima gli Stati Uniti e poi, di conseguenza, l'Europa ancora alle prese con i debiti contratti per la ricostruzione. Piu oltre non ci sentiamo per ora di andare. Certo spunti di interesse non mancano: quali saranno stati piu avanti i riflessi della politica fascista sull'e¬migrazione di casa nostra? La guerra d'Etiopia sarà stata un propellente per una nuova ondata migratoria? E la guerra quali conseguenze avrà determina¬to? Qual é stato l'andamento del flusso migratorio nel dopoguerra prima e poi negli anni del boom economico? E com'é, infine la situazione al momento attuale? Sono problemi indubbiamente affascinanti ma che esulano dai nostri obiettivi già indicati inizialmente. Non dimentichiamo poi la natura stessa di questo libro e la funzione di questo intervento che é soprattutto illustrativo di una serie di realtà fotografate e riprodotte. Il lettore che non vorrà dimenticare tutto questo ci scuserà anche le tante superficialità, a partire dal metodo stesso che abbiamo seguito e che non ci sentiamo di accreditare come scientifico; ma saprà rivivere attraverso dati, riscontri, riflessioni un fenomeno di proporzioni davvero molto vaste da apparire come una vera e propria rivoluzione. Bibliografia R. Volpe: La provincia di Belluno. Notizie economico-statistiche, Belluno, Deliberali, 1871. E. Migliorini: La Val Belluna. Studio antropogeografico, Roma, Istituto di geografia del¬ l'Università di Roma 1932. Consiglio provinciale dell'Economia Corporativa di Belluno: Relazione sulla struttura e sull'andamento economico della Provincia di Belluno nel 1931, Belluno, 1932. A. Maresio Bazolle, Della emigrazione dei contadini bellunesi, Belluno, 1892. A. Errera: Atlante statistico, industriale, commerciale e marittimo per il Veneto con tabelle comparative, Milano-Venezia, 1871. Bollettino parrocchiale, della parrocchia di S. Maria Annunziata di Sedico (1925-1928). La voce del parroco, Bollettino parrocchiale della parrocchia di S. Maria Annunziata di Sedico, (1929-1939). E. Franzina, Le origini dei flussi migratori veneti (1866-1886) in "Rivista Bellunese" n.7-8 (1975-1976). E. Franzina: La grande emigrazione. L'esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo XIX, Venezia e Padova, Marsilio, 1976. Balie da latte. Una forma peculiare di emigrazione temporanea (a cura di P. Perco, Feltre, C.M.F. 1984. A. Lazzarini, Campagne venete ed emigrazione di massa (1866-1900), Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, 1981.
Fonti inedite
Archivio Parrocchiale di Sedico: Stato della popolazione residente nella parrocchia di Sedico (1873) Archivio Comunale di Sedico: Delibere di giunta (1870- ...) |
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